Fenici e Cartaginesi
I primi stanziamenti fenici in Italia furono sulle coste della Sardegna e nella Sicilia occidentale, risalenti all'VIII secolo a.C., posteriori all'espansione fenicia del Mediterraneo occidentale con fondazione di città come Utica e Cartagine. Nacquero Mozia (da cui più tardi Lilibeo), Palermo, Solunto in Sicilia e Sulci, Nora, Tharros, Bithia, Kalaris in Sardegna[7].
In Sicilia lo stanziamento fenicio non incontrò grandi reazioni da parte degli autoctoni (a Monte Erice, per esempio, un tempio fu dedicato ad Astarte, dea-madre dell'area cananea, che veniva frequentato dai Fenici e dagli Elimi[8]), in Sardegna, per la resistenza opposta dai Sardi nuragici, non riuscirono a controllare ampi territori lontani dalle loro città. Il supposto ruolo colonizzatore dei Fenici è stato ridimensionato dalle scoperte archeologiche di fine XX secolo, le quali evidenziano come questi levantini frequentassero approdi già abitati dagli autoctoni, con i quali avevano un pacifico rapporto di reciproci scambi commerciali. Il notevole flusso di merci favorì l'ampliarsi di questi approdi con un miglioramento delle strutture portuali e un'edilizia mutuata dai Fenici i quali, tramite matrimoni misti, si integrarono coi sardi autoctoni apportando nuove conoscenze e stili di vita[9].
A metà del VI secolo a.C., con la spedizione del semileggendario Malco, ebbe inizio il tentativo cartaginese di conquista della Sicilia. Cartagine, a tre secoli dalla fondazione, era diventata potenza egemone dell'Africa settentrionale fermando in Libia la colonizzazione greca vincendo Cirene. In Sicilia, la colonizzazione greca aveva relegato la presenza punica nell'estrema punta occidentale dell'isola. I Cartaginesi tentarono di conquistare l'intera Sicilia, cacciando da essa i Greci. Ciò avrebbe consentito il totale controllo dei due passaggi dal Mediterraneo Orientale a quello Occidentale. Le guerre greco-puniche (550 a.C.-275 a.C.) non portarono a risultati conclusivi, allargando a fasi alterne la sfera di influenza cartaginese o greca in Sicilia senza che uno dei due popoli riuscisse a prevalere nettamente sull'altro. Questo scontro si concluse con lo scoppio della prima guerra punica, che tolse ai Cartaginesi le aree siciliane e pose una pesante ipoteca su Siracusa, unico regno siceliota importante.

In Sardegna, invece, i Cartaginesi conquistarono la parte meridionale dell'isola, pur incontrando difficoltà a causa della resistenza opposta dalle popolazioni autoctone. Nel corso del tempo i Cartaginesi chiusero le coste dell'isola in un vero e proprio cerchio di fortezze e colonie[10]. Questa conquista permise il controllo della produzione mineraria e agricola in relazione alle necessità puniche e non solo autoctone. L'agricoltura sarda si basava principalmente sulla produzione di grano tanto che già nel 480 a.C. Amilcare, impegnato nella battaglia di Imera, fece venire dalla Sardegna i rifornimenti di grano per le sue truppe, che si trovavano in Sicilia. Lo pseudo-aristotelico De mirabilibus auscultationibus riporta che Cartagine proibiva la coltivazione di piante da frutto per incentivare la monocultura del grano[11]. Anche l'artigianato sardo subì profonde influenze puniche.
Cartagine entrò anche nella storia d'Italia peninsulare, alleandosi con gli Etruschi per combattere i pirati greci di Alalia, in Corsica. Le Lamine di Pyrgi testimoniano quanto fosse sentito l'influsso cartaginese sulle coste toscane e laziali. Nel 509 a.C., infine, la neonata Repubblica romana e i cartaginesi siglarono il primo dei Trattati Roma-Cartagine, che segnò l'inizio di relazioni diplomatiche stabili fra le due città. Successivamente vennero conclusi altri trattati, in cui vennero concesse ulteriori concessioni all'Urbe fino alla caduta definitiva di Cartagine.